Ben presto, niente più ostacoli al nuovo accordo Sykes-Picot

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Il Segretario di Stato, John Kerry, abbandona i suoi alleati. Non ci sarà alcuna consegna di armi decisive ai “ribelli” in Siria. Assad non sarà rovesciato. Le promesse degli Stati Uniti impegnano solo quelli che ci hanno creduto.
Di Thierry Meyssan

Lo scorso 13 giugno, il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha annunciato che la linea rossa era stata superata: come dimostravano le prove raccolte dai francesi e dai britannici, la Siria di Bashar al-Assad aveva usato armi chimiche contro il suo popolo: ora ce la vedremo…

Senza attendere, il nuovo comando congiunto delle Forze terrestri della NATO è stato attivato a Izmir (Turchia). La guerra era imminente.

Un mese dopo, la determinazione occidentale è scomparsa. La stampa atlantista scopre con orrore che l’opposizione armata in Siria è composta da fanatici odiati dalla stragrande maggioranza dei siriani, quel che andiamo dicendo senza sosta da due anni. Nel mentre, sul campo, l’Esercito siriano libero e il Fronte Al-Nosra, invece di combattere contro le truppe di Damasco, si scagliano l’un l’altro in una guerra senza pietà.

Cosa è successo, per poter trasformare la guerra di “liberazione” della Siria in questo vasto disordine? In realtà, nessuna delle poste in gioco è cambiata in un mese: l’Esercito arabo siriano non ha mai usato armi chimiche contro i “ribelli”; e questi non si sono “radicalizzati”. Per contro, il piano USA che ho descritto, per primo, lo scorso novembre, si sta lentamente dispiegando. La tappa di oggi consiste nel mollare l’opposizione armata.

Tutto ciò ci conferma che l’imperialismo anglosassone ha il fiatone. L’applicazione sul campo delle decisioni prese a Washington avviene con estrema lentezza. Questo processo evidenzia la cecità dei media occidentali che ignorano queste decisioni prese fino a quando non si traducano in azioni. Incapaci di analizzare il mondo così com’è, continuano a dare credito alla “comunicazione politica”.

Quindi quel che scrivevo [1], che veniva descritto come “teoria del complotto” da parte della stampa mainstream, le diventa evidente dieci mesi più tardi. Eric Schmitt scrive pudicamente sul New York Times che «i piani dell’amministrazione USA sono molto più limitati di quanto dichiari in pubblico e in privato». [2]. Mentre David Ignatius titola senza mezzi termini sul Washington Post: «I ribelli siriani sono stati “scaricati” da Washington» [3].

Stavano aspettando armi anticarro e hanno ricevuto mortai da 120 millimetri. Gli erano stati promessi aerei, e hanno ricevuto kalashnikov. Le armi arrivano loro in gran numero, ma non per rovesciare Bashar al-Assad, bensì per far sì che si ammazzino tra loro senza che rimanga più nessuno.

E per fugare i dubbi: il direttore della CIA, John Brennan, e il vice presidente, Joe Biden, hanno convinto il Congresso a porte chiuse che non si dovrebbero inviare armi decisive Siria. Contemporaneamente, a Londra, la Camera dei Comuni ha approfittato di questo varco aperto. E a Parigi, Alain Marsaud e Jacques Myard – per altri motivi – tentano di imbarcare l’Assemblea nazionale nello stesso rifiuto occidentale di continuare a sostenere i “ribelli”.

Senza alcuna esitazione, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che deplorava a dicembre l’iscrizione da parte degli Stati Uniti del Fronte Al-Nosra sulla loro lista internazionale delle organizzazioni terroristiche «perché fanno un buon lavoro sul terreno» (sic), ha chiesto lui stesso all’ONU di metterlo nella lista internazionale delle organizzazioni terroristiche. E Manuel Valls, il ministro degli interni francese, ha dichiarato su France 2 che i francesi che combattono in Siria al fianco dei suoi ex alleati islamisti sarebbero stati arrestati e processati una volta ritornati in Francia.

La Conferenza di Ginevra II, di cui si parla da un anno, si va a delineare. Gli ostacoli principali provenivano dalla Coalizione Nazionale che, sostenuta dal Qatar, esigeva la resa preliminare di Bashar al-Assad, e dai franco-britannici che rifiutavano di vedere l’Arabia Saudita e l’Iran al tavolo dei negoziati.

L’Ayatollah Khamenei ha rimosso dal gioco Ahmadinejad e il suo capo di gabinetto Mashaei, uomini di fede e forsennati anticlericali, per sostituirli con lo sceicco Rouhani, un religioso molto pragmatico. Una volta installatosi come nuovo presidente dell’Iran a fine agosto, dovrebbe accettare di partecipare ai negoziati. Da parte loro, gli anglosassoni hanno rimosso dal gioco il Qatar, il micro-Stato gasiero che hanno usato per coprire l’alleanza tra la NATO e la Fratellanza Musulmana. Hanno affidato la gestione dei “ribelli” in Siria alla sola Arabia Saudita, screditando i “ribelli” internazionali presso la propria stampa. Con o senza re Abdullah, Riyadh dovrebbe ugualmente accettare il negoziato.

Falsa sorpresa: sotto l’impulso del Segretario di Stato John Kerry, l’Autorità palestinese ha accettato di riprendere i negoziati con Israele, anche se quest’ultimo continua la colonizzazione dei territori.

Salvo capovolgimenti inaspettati in Egitto o in Tunisia, non dovrebbe più esserci, da qui a due o tre mesi, grossi ostacoli allo svolgimento di Ginevra II, il “nuovo accordo Sykes-Picot” allargato; dal nome degli accordi segreti attraverso i quali la Francia e il Regno Unito si spartirono il Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale. Durante questa conferenza, gli Stati Uniti e la Russia si divideranno il Nord Africa e il Levante, a spese della Francia, suddividendo la regione in zone subappaltate ai sauditi (sunniti) o agli iraniani (sciiti ).

Dopo aver costretto l’emiro del Qatar ad abdicare e dopo aver abbandonato i “ribelli” in Siria, Washington sta per ritirare la sua influenza regionale dalle mani del suo fedele alleato, la Francia, che se le è sporcate per due anni per niente. Questa è la legge cinica dell’imperialismo.

[1] “Obama II: la Purga e il Patto“, Rete Voltaire, 27 novembre 2012. “L’ESL continua a brillare come una stella morta“, Rete Voltaire, 26 dicembre 2012. “Obama e Putin si spartiranno il Medio Oriente?Odnako (Federazione Russa), 26 gennaio 2013.

[2] “No Quick Impact in U.S. Arms Plan for Syria Rebels”, di Mark Mazzetti, Eric Schmitt e Erin Banco, The New York Times, 14 luglio 2013.

[3] “Syrian rebels get ‘the jilt’ from Washington”, di David Ignatius, The Washington Post, 18 luglio 2013.

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I TRATTATI INTERNAZIONALI SOPPIANTANO LE COSTITUZIONI (MA CON IL CONSENSO DELLE STESSE)

 

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Le notizie di stampa sullo scandalo spionistico denominato “datagate”, hanno determinato in Europa lo scatenarsi di ipocriti rituali di sorpresa e di indignazione. Tra le autorità europee la parola d’ordine è stata quella di cadere dalle nuvole, di dichiararsi stupefatti o “allibiti”, come se l’attività spionistica a tutto campo della National Security Agency non fosse già arcinota. A Sigonella è persino in allestimento un mega-impianto di spionaggio elettronico, il MUOS, con il quale gli USA avranno il territorio europeo sotto un controllo ancora più capillare; ed è chiaro che si tratta non soltanto di spionaggio militare, ma anche nel settore industriale e finanziario, sino alla sfera dei vizi privati, utilissimo strumento di ricatto.
Ma ad indicare la serietà di queste recite in Europa, basterebbe anche solo il fatto che ci si è immediatamente dimenticati che lo scandalo spionisticoaveva coinvolto poche settimane fa un Paese europeo, cioè il Regno Unito, il cui servizio segreto, MI6, nell’aprile del 2009 aveva allestito addirittura dei falsi internet cafè per spiare i diplomatici stranieri ospitati a Londra per il G20.
Se questo è il grado di memoria degli avvenimenti, si può facilmente prevedere che tutta questa bolla di indignazione verso gli USA svanirà molto presto, e ciò vale anche per le dure dichiarazioni di monito del commissario europeo Viviane Reding, che ha minacciato conseguenze sui negoziati tra USA e UE per il mercato transatlantico (indicato dall’acronimo TTIP) che dovrebbe andare in vigore dal 2015.
A riconferma dell’inattendibilità di certe reboanti dichiarazioni di dignità offesa, ci ha pensato anche il presidente francese Hollande, il quale, mentre chiedeva una sospensione (“temporanea”, per carità!) dei negoziati per TTIP, poi si calava completamente le brache nei confronti degli USA, giungendo all’atto folle ed inaudito di negare lo scalo all’areo del presidente boliviano Morales, nell’ipotesi che questi portasse con sé il ricercato Snowden; un gesto ostile che non va solo contro ogni regola del diritto internazionale, ma anche contro il semplice buonsenso.
Le parole della Reding e di Hollande sono risultate interessanti soltanto per un motivo, e cioè che hanno segnalato l’esistenza e l’importanza di un negoziato transatlantico di cui l’opinione pubblica europea non sapeva assolutamente nulla. I primi accenni in pubblico vi sono stati all’ultimo G8 tenutosi il 17-18 giugno in Irlanda del Nord, tanto da consentire al nostro Enrico Letta di citare la questione del TTIP nella sua conferenza stampa. Un po’ tardi per venircelo a dire, dato che i negoziati sul TTIP erano cominciati nel 2007, anche se il trattato finale dovrebbe essere ratificato entro il 2015.
La questione del mercato transatlantico però non era mai stata affrontata nel dibattito politico, e tantomeno nelle campagne elettorali, a conferma del fatto che la politica è il luogo del futile e dell’intrattenimento. Magari, come fa la cancelliera Merkel, il proprio elettorato può essere usato come fantoccio e come alibi per decisioni già prese altrove. Ciò non vale soltanto per gli elettorati, ma anche per i parlamenti, che hanno solo una funzione di ratifica, come ha ulteriormente dimostrato la posizione del Consiglio di Difesa a proposito del business dell’acquisto dei caccia F35, per il quale al parlamento italiano è stata negata la facoltà di immischiarsi.  Leggi il resto dell’articolo

NSA-PRISM: UNO SCANDALO FALSE FLAG PER COPRIRE IL BUSINESS

k-bigpicIl modo in cui l’opinione pubblica europea viene “informata” dello scandalo che riguarda la più grande agenzia statunitense di “intelligence”, la National Security Agency, presenta i consueti risvolti ambiguamente celebrativi che caratterizzano qualsiasi notizia proveniente dagli USA. Questo scandalo pare infatti risolversi anch’esso nell’ennesimo “trionfo della democrazia americana”. I media ci dipingono un Obama sotto attacco da parte di un’opinione pubblica americana che si dimostra gelosa delle proprie libertà, mentre il dibattito si sposta sui massimi sistemi, sullo scontro di due diverse idealità: da una parte la tutela della sicurezza dei cittadini, dall’altra la garanzia della loro privacy.

La presa in giro si completa sugli organi di stampa della finta opposizione, come “Il Fatto Quotidiano”, dove vi sono anche commentatori che giungono ad affermare che in Italia la situazione della violazione della privacy sarebbe persino peggiore che negli USA; cioè il tutto viene risolto in un astratto confronto, basato sulla falsa premessa che si tratti di questioni interne ai vari Paesi; questo come se la NSA si limitasse a spiare il territorio statunitense e non tenesse sotto controllo anche noi.
Il problema è che le attuali tecnologie rendono la privacy un’illusione, e questo modo di dibattere sembra più che altro finalizzato all’idea di abituare l’opinione pubblica a rassegnarsi a vivere sotto controllo. Qualche commentatore meno allineato ha fatto notare che questo scandalo sollevato dal quotidiano britannico “The Guardian” costituisce una gigantesca scoperta dell’acqua calda, dato che da anni si sapeva praticamente tutto a riguardo. In effetti, già nel 2009 la NSA fu al centro di una polemica per casi di spionaggio ai danni di alcuni parlamentari statunitensi; pare ci fosse sotto osservazione un deputato del Congresso, non individuato con certezza dai media; e persino il senatore Jay Rockefeller avanzò il sospetto di essere spiato.
Va sottolineato che però in Europa di questo scandalo del 2009 non si seppe a suo tempo praticamente nulla. Meno di nulla i media europei ci hanno detto su una vicenda successiva ancora più clamorosa, che riguardò le rivelazioni di un “insider” della NSA, l’agente Thomas Drake, che subì anche una persecuzione giudiziaria per “tradimento” da parte dell’amministrazione Obama. Alla fine Drake riuscì in parte a scamparla ed a cavarsela con una condanna minore, perché il tribunale riconobbe che le sue informazioni non compromettevano la sicurezza nazionale, ma scoperchiavano il gigantesco giro d’affari, di corruzione e di frodi che avviene all’interno della NSA. A rendere ancora più strano il silenzio dei nostri media, c’è la circostanza che Drake fu intervistato nella più importante trasmissione televisiva di informazione degli USA, “Sessanta Minuti” della CBS.
Anche in altre interviste Drake portò a conoscenza dell’opinione pubblica dei fatti clamorosi. La sicurezza nazionale è diventata negli USA il settore in maggiore crescita, con un’enorme redistribuzione della ricchezza: il solito capitalismo sedicente privato ed imprenditoriale che invece parassita i soldi pubblici. Agli agenti della NSA è data la possibilità di diventare milionari procurando appalti alle ditte private. Drake dichiaravatestualmente: <>.
Da profondo conoscitore del sistema, Drake parlò anche delle tecniche di “false flag”, di depistaggio, usate dall’amministrazione Obama per affrontare il suo caso, cercando di farlo passare per qualcosa che attentava alla sicurezza nazionale. In realtà attentava soltanto ai business ed agli arricchimenti fraudolenti che avvengono sotto l’alibi della sicurezza nazionale. Anche l’attuale scandalo sul sistema di spionaggio informatico Prism sembra proprio inquadrarsi in questo tipo di operazioni di depistaggio e distrazione. Facciamoli pure discutere nei talk show di libertà, di privacy, di sicurezza; l’importante è non parlare di appalti e di corruzione. Tanto ci sarà sempre una parte dell’opinione pubblica disposta ad avallare qualsiasi liberticidio in nome dello stato di necessità, perciò il dibattito si sposterà invariabilmente sull’opinabile. Ci si potrà quindi domandare quale sia stato il ruolo di Apple, Google e Facebook nel sistema di spionaggio Prism, ma non a quale grado sia arrivata la commistione affaristica di queste multinazionali con la NSA.
Nei Paesi sudditi deve rimanere la convinzione che la corruzione e le tangenti siano roba da popoli inferiori, mentre negli USA ci si scontra sul modo più giusto di combattere il terrorismo. Alla beffa si aggiungono il danno e l’ulteriore beffa, poiché le aziende italiane sono diventate terreno di caccia per ex-agenti CIA ed FBI specializzati in presunti servizi anti-hackeraggio; dei “servizi” che in realtà appaiono come la riscossione di un “pizzo” per essere protetti dalle stesse minacce di spionaggio industriale di provenienza statunitense. Con l’immancabile ipocrita arroganza dei colonialisti, questi pseudo-detective informatici affermano anche di fornire alle aziende americane che vogliano fare affari in Italia, delle certificazioni anti-corruzione sugli eventuali partner commerciali italiani.
Il ministro della Difesa Mauro può oggi permettersi di dichiarare che il MUOS in costruzione a Sigonella sarebbe un impianto che serve alla pace ed alla sicurezza globale, e tutto il problema starebbe nello stabilire se sia inquinante o no (e non lo sarà, c’è da scommetterci). Quindi, se i nostri media ci informassero sulle vere funzioni della NSA e di tutto l’apparato della “sicurezza” USA, l’effetto non sarebbe soltanto quello di un banale e consolatorio “tutto il mondo è paese”, bensì lo smascheramento del carattere affaristico-criminale dell’imperialismo, per il quale inventarsi un nemico significa creare appalti e business. Un business, ovviamente, sempre e rigorosamente basato sul saccheggio della spesa pubblica.

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ANCHE ERDOGAN NEL MIRINO DI SOROS?

soros10Meno di due settimane fa il Primo Ministro turco Erdogan dichiarava di prevedere una rapida caduta del regime di Assad in Siria, ad opera dei “ribelli”. La dichiarazione era in linea con l’atteggiamento ostile verso Assad tenuto dal governo turco in tutta la crisi siriana; ma lanciarsi in auspici così plateali rappresentava sicuramente una chiusura a qualsiasi possibilità di interlocuzione con un avversario presentato come politicamente già morto.
Il fatto che in questi giorni sia invece proprio Erdogan a veder messa in questione la propria legittimità politica dalle manifestazioni di piazza, rappresenta qualcosa di più di un’ironia del destino, ma potrebbe configurarsi come una logica conseguenza della politica anti-Assad. Ogni teatro di guerra tende ad esportare la propria instabilità ai Paesi vicini, e ciò non avviene per un semplice “contagio”, ma per il fatto che spesso la posizione di “alleato” si dimostra più insidiosa di quella di nemico.
Riguardo alle motivazioni delle manifestazioni, appare strano questo concentrarsi della rivolta contro la presunta svolta “autoritaria, integralista e populista” di Erdogan, mentre soltanto da parte di gruppi dell’estrema sinistra si accenna al fatto più macroscopico che la Turchia stia partecipando all’aggressione contro un Paese vicino e tradizionalmente amico. Mancano inoltre i riferimenti a tutti i pericoli che comporta l’interventismo in Siria. Togliere il divieto del velo islamico è certamente meno allarmante del fatto che Erdogan abbia deciso di asservire il proprio territorio alle esigenze dell’aggressione della NATO contro la Siria, lasciandolo trasformare in una base per le milizie mercenarie del Qatar e dell’Arabia Saudita, ed esponendolo così a tutte le possibili fregature connesse alla posizione di alleato troppo servile e servizievole.
Infatti una delle conseguenze più gravi della posizione di alleato subordinato riguarda la perdita del controllo del proprio territorio a causa della crescente invadenza dei cosiddetti “alleati”. Sarà una banalità ricordarlo, ma mettersi in posizione supina è sempre un invito all’aggressione. Il colonialismo è sempre più schematico che strategico, e spesso l’alleato può costituire una preda molto più facile e disponibile del nemico. Non è un caso che la cosiddetta guerra in Afghanistan sia diventata (sempre che non lo fosse sin dall’inizio) soprattutto una guerra degli USA contro un loro “alleato” tradizionale come il Pakistan. Erdogan dovrebbe perciò cominciare a preoccuparsi del fatto che i media occidentali denotino un atteggiamento sin troppo “comprensivo” nei confronti dei tafferugli in Turchia, e si tratta degli stessi media che in Italia considerano il sampietrino di un manifestante come un caso di para-terrorismo. Altri commentatori ufficiali intanto già descrivono Erdogan come se fosse un Fratello Musulmano, mentre i rapporti di Amnesty International sono presi per oro colato, esattamente come per la Siria. Analogamente, i capi di governo occidentali, a cominciare da Angela Merkel, hanno espresso posizioni “equidistantiste” che rappresentano una mortificazione diplomatica per un alleato fedelissimo come il regime turco. Insomma, sembra mancare poco che persino ad Erdogan venga affibbiato quell’epiteto di “dittatore” che implica la morte civile a livello diplomatico.
L’occupazione del territorio turco inoltre non ha riguardato soltanto la presenza di basi di truppe mercenarie straniere, ma anche di servizi segreti, e persino di quelle nuove agenzie della provocazione e dei colpi di Stato che sono le Organizzazioni Non Governative. La Open Society Foundations del finanziere “filantropo” George Soros – che si dimostrò decisiva nella destabilizzazione di tutta l’Europa dell’Est e dell’Asia ex sovietica -, risulta ora presente in modo massiccio anche in Turchia.
A scorrere i programmi ed i progetti della fondazione di Soros per la Turchia, impressiona il loro tono educazionistico e civilizzatore, come se la Turchia stessa andasse rapidamente convertita al vangelo occidentalista. Particolarmente pretestuosa appare la questione dell’estensione dei diritti della donna in un Paese che è stato tra i primi a riconoscere loro il diritto di voto; addirittura dal 1923. Il governo Erdogan inoltre non ha mai messo in questione i diritti acquisiti dalle donne nel periodo dei governi laici, né vi è traccia di islamizzazioni forzate; persino le norme che limitano la vendita degli alcolici sono più miti di quelle dei Paesi scandinavi. Non si capisce allora perché Soros non vada a salvare la Svizzera, che ha concesso il voto alle donne soltanto nel 1971, o la Svezia, che raziona gli alcolici.
Come è già avvenuto in Tunisia ed in Egitto, ed all’inizio anche in Siria, non c’è dubbio che la rivolta in Turchia convogli, o fagociti, anche istanze e rivendicazioni autentiche di un Paese che ha attraversato una notevole fase di sviluppo economico a costi sociali durissimi. Ma occorre tener presente che la tecnica della “rivoluzione colorata” elaborata dal team di Soros, non implica solo aspetti di mistificazione, ma anche di manipolazione. Anche l’adesione alla rivolta turca di un grande scrittore come Orhan Pamuk è sicuramente sincera; ma lo stesso Pamuk, sempre lucidissimo nello smascherare le magagne interne alla Turchia, si dimostra troppo spessosupinamente credulone nei confronti dei miti del Sacro Occidente.
La fondazione di Soros afferma anche di adoperarsi per l’entrata della Turchia nell’Unione Europea, cosa che sino a qualche anno fa avrebbe potuto costituire l’ammissione ad un club di eletti, mentre oggi suona come una minaccia di ingresso in un campo di concentramento. La “deriva autoritaria” di Erdogan fa tenerezza se confrontata con l’attuale situazione europea, nella quale un organismo come il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), vanta uno statuto che – agli articoli 32, 33, 34, 35 e 36 – conferisce ad una ristretta oligarchia finanziaria dei privilegi inauditi ed un’assoluta immunità giudiziaria. Il tutto avviene nella completa disinformazione di una pubblica opinione convinta invece di sapere tutto grazie ai finti eroi del giornalismo d’assalto come i Santoro, le Gabanelli ed i Saviano. Tra l’altro il MES, mentre si arroga poteri assoluti sulle finanze e sui parlamenti dei Paesi europei, confessa nel suo stesso statuto – al punto 8 del preambolo – la propria totale dipendenza da un’istituzione come il Fondo Monetario Internazionale, controllata dagli USA che ne costituiscono il socio di maggioranza.
Intanto, un’altra di quelle ONG no profit specializzate nella destabilizzazione internazionale, la Bertelsmann Foundation, comincia a discutere di obiettivi molto più ambiziosi, cioè l’inserimento della Turchia nel nuovo “ordine” transatlantico del commercio e della finanza, una forca caudina imposta dagli USA e contrassegnata dall’acronimo TTIP, che dovrebbe andare in vigore dal 2015, ma di cui l’opinione pubblica del libero Occidente non è stata ancora informata.
L’integrazione nell’ordine transnazionale – cioè il dominio incontrastato delle multinazionali – prevede l’eliminazione di quei meccanismi di mediazione sociale che sono tipici dello Stato nazionale; e si tratta di innocue politiche di garantismo sociale, che però le organizzazioni transnazionali etichettano come “populismo”. Tutto ciò che possa minimamente ostacolare lo strapotere delle multinazionali viene perciò catalogato come minaccia autoritaria e degenerazione morale. Il fatto di essere “alleati” non salva nessuno da questa sorte, anzi, espone ancora di più all’aggressione coloniale. Se ne stanno accorgendo ora i Paesi del Sud Europa, ed anche la Turchia potrebbe rendersene conto di qui a poco.

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L’IMPERIALISMO TRANSGENICO DI GEORGE SOROS E BILL GATES

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L’assegnazione del premio Tiziano Terzani al finanziere George Soros possiede una sua intrinseca logica, dato che l’attività giornalistica di Terzani ha rappresentato un fattore di notevole confusione negli anni ’70 e ’80. Può essere indicativo ricordare come Terzani dichiarasse, con la massima disinvoltura, il modo in cui si era costruito un’intera teoria circa i presunti moventi utopistici dei massacri commessi dal regime di Pol Pot in Cambogia; una teoria poi affermatasi come luogo comune inattaccabile. Terzani avrebbe ottenuto questo risultato sulla base di una singola frase all’interno di una breve intervista rilasciatagli dal ministro degli Esteri del governo cambogiano dell’epoca.
In realtà è cosa sin troppo comune confondere le acque sparando frasi ad effetto e slogan idealistici per nascondere motivazioni opportunistiche, meschine o addirittura abiette. Ne sa qualcosa proprio il “filantropo” Soros, il quale ha contribuito anche lui a creare confusione scrivendo un libro sulla crisi, con una particolare attenzione alla questione europea. Soros ha palesato nel libro le sue superiori doti intellettuali, esibendosi in intuizioni fulminanti e originali, come quella secondo cui il progetto monetario dell’euro presentava contraddizioni sin dall’inizio. Certo, chi ci avrebbe mai pensato.
Ma l’ingegnosità di Soros è andata ben oltre. A chi gli contestava le sue responsabilità nell’attacco speculativo alla lira nel 1992, Soros ha risposto che: «La crisi non è degli speculatori, ma sono le norme dei governi a rendere possibili gli speculatori come messaggeri di cattive notizie». Quindi la speculazione finanziaria potrebbe rientrare tra i lavori socialmente utili.
Su “Il Fatto Quotidiano” del 13 maggio, in soccorso delle tesi di Soros è arrivato addirittura l’economista di “opposizione” Alberto Bagnai, a ribadire le esclusive responsabilità della politica nella sopravvalutazione della lira che rese possibile la speculazione del ’92. La sortita di Bagnai appare però eccessivamente ingenua e imprudente nel momento in cui, nell’attuale governo italiano, si riscontra la presenza di una lobbista dello stesso Soros, cioè la ministra degli Esteri Emma Bonino.
Soros però non si è mai accontentato di agire soltanto attraverso il lobbying, ed ha assunto spesso un ruolo politico diretto. Non c’è neppure bisogno di ipotesi di complotto, dato che le operazioni politiche di Soros sono del tutto manifeste, persino ostentate. Nel 1997 Soros, con la sua Open Society Foundation, era in prima linea nella destabilizzazione della Serbia. Le fondazioni private costituiscono uno strumento di penetrazione imperialistica di tipo nuovo e sofisticato, in grado di distruggere le società attraverso il colonialismo di una pseudo-beneficenza che è, in realtà, un veicolo di corruzione e di affarismo. L’impegno di Soros per portare la “democrazia” in Serbia, fu propagandato con entusiastici toni celebrativi in un articolo de “La Repubblica” dell’epoca, dal titolo esplosivo: “I miliardi di Soros sostengono la rivolta”.
L’anno dopo Soros, insieme con la Bonino, era a Dakar per sostenere lafondazione della Corte penale per i crimini di guerra, che avrebbe avuto poi sede all’Aja, in modo da creare nella pubblica opinione un’opportuna confusione con l’altro Tribunale, quello dell’ONU, situato nella stessa città. Quindi Soros, mentre destabilizzava, la Serbia, già si preoccupava di istituire il tribunale con cui avrebbe fatto processare e condannare i leader serbi da lui abbattuti. Un uomo previdente.
Questa corte penale è uno strumento della NATO, ma a scanso di pericoli, il Paese che commette più crimini di guerra, cioè gli USA, non la riconoscono, in modo da non rischiare di essere continuamente denunciato presso di essa. Nelle sedi NATO Soros è regolarmente accolto con gli onori di un capo di Stato, anzi, molto meglio di tanti capi di Stato. Soros può permettersi di andare alla NATO a discutere e pianificare sulle sorti non solo dell’Europa dell’Est, ma del mondo intero, dato che la sua fondazione agisce e mesta dappertutto, anche se con gradi diversi di influenza. Non vi è nulla di segreto a riguardo, poichè è lo stesso sito della NATO ad informarci dettagliatamente sul ruolo atlantico di Soros, definito il “benefattore”.
Durante la manifestazione di Dakar del ’98 pro Corte penale internazionale, Emma Bonino fece appello anche al miliardario Bill Gates per ottenere il suo appoggio nell’iniziativa. Le cronache successive non permettono di stabilire con certezza se questo appoggio vi sia stato, però vi è certamente un campo in cui la collaborazione fra Soros, Gates e la Bonino va a pienissimo regime, e cioè gli OGM. Se la Bonino è una semplice lobbista (almeno per ciò che ne sappiamo), Soros e Gates sono invece fra i principali azionisti della Monsanto, la più tentacolare e aggressiva delle multinazionali del transgenico. La Bill & Melinda Gates Foundation – la più grande fondazione privata del mondo – non è soltanto l’istituzione che maggiormente spinge per l’adozione del geneticamente modificato in agricoltura, ma si è fatta notare anche per i suoi massicci acquisti di azioni Monsanto. I legami finanziari tra Gates e la Monsanto hanno messo in evidenza un clamoroso conflitto di interessi, segnalato anche dal quotidiano britannico “The Guardian”.
Neppure i continui acquisti di azioni Monsanto da parte di Soros costituiscono un mistero, anzi, le notizie si possono trovare tranquillamente nei notiziari finanziari. Le due principali fondazioni private del mondo agiscono quindi come una falange compatta, non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello finanziario.
Con il passare del tempo, il prestigio scientifico e tecnologico degli OGM tende sempre più a decadere, mentre si rivela il loro carattere meramente truffaldino. Infatti gli OGM spesso non rappresentano vere innovazioni tecnologiche, ma solo espedienti per realizzare dei brevetti che permettano di monopolizzare determinate sementi. Ovviamente tutto questo non potrebbe avvenire senza la complicità e la corruzione delle autorità preposte al controllo dell’agricoltura. In Europa il lobbying OGM è in piena attività, e l’aver inserito la Bonino nel governo italiano è certamente un punto a suo favore. Viste le protezioni internazionali di cui beneficia la Bonino, non ci sarebbe da sorprendersi se di qui a poco ce la ritrovassimo davvero alla Presidenza della Repubblica. A sostegno della reputazione di progressista di Soros, molti ricordano il suo impegno per la legalizzazione della marijuana. Soros è effettivamente il maggior finanziatore delle associazioni impegnate a chiedere la legalizzazione della cannabis.
Questo interesse di Soros per la legalizzazione della marijuana potrebbe però essere spiegato considerando il business che costituirebbe il monopolio di una cannabis geneticamente modificata, e quindi brevettata. In base alle informazioni fornite dagli inquirenti, questo tipo di cannabis già esiste. Lo scorso anno il quotidiano “Il Sole – 24 ore” dava la notizia di unmega-sequestro di marijuana OGM proveniente dall’Albania.
Del tutto casualmente, l’Albania è sotto la tutela della “Open Society Foundation” di Soros, che si adopera anche per far ammettere questo Paese nell’Unione Europea.

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LA LOBBY DI BILL GATES SI INSEDIA NELLA SCUOLA

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Può risultare istruttivo notare come nell’attuale dibattito politico si siano creati degli strani ibridi, come, ad esempio, il “grillorenzismo”. Da posizioni politiche apparentemente opposte, derivano infatti proposte simili, come il limite di due legislature per i parlamentari. Il proposito apparentemente moralizzatore della proposta si configura come una porta spalancata al lobbying. Il parlamentare che sappia in anticipo di avere a disposizione solo due legislature, si sentirà infatti ulteriormente incentivato a cercarsi una via di salvezza personale fuori del parlamento, magari facendosi accogliere da uno di quelli che le sue leggi hanno beneficato.
Il Congresso statunitense ha già pienamente legalizzato il lobbying, nella forma del “revolving door”. Se prendi una tangente commetti un reato, ma se lasci il parlamento per andare a lavorare per l’azienda alla quale hai confezionato una legge ad hoc, allora sarà tutto legale. Il “Washington Post”del dicembre scorso riportava il caso di una deputata repubblicana che aveva lasciato il Congresso per diventare presidente dell’azienda elettrica della sua regione, un’azienda beneficiaria sia di concessioni che di sovvenzioni governative.
La deputata in oggetto era stata appena rieletta, quindi ha lasciato il Congresso volontariamente; ma negli USA il “revolving door” è ormai un costume consolidato, mentre in un Paese come il nostro, in cui la corruzione è ancora in gran parte ferma allo stato primitivo della tangente, occorre per i parlamentari un meccanismo di incentivi che li abitui a ricalcare le illustri orme di un Giuliano Amato, passato dal ruolo di ministro a quello di advisor di Deutsche Bank. Non c’è neppure bisogno che la proposta del limite delle due legislature diventi legge, poiché potrebbe bastare lanciare nella testa dei deputati l’idea che la pacchia potrebbe finire troppo presto, e perciò sarebbe urgente cercarsi nuove opportunità.
Il lobbying si fonda sull’abilità di saper presentare i propri interessi particolari come manifestazioni di interessi e valori superiori. Non è casuale che oggi la più nota lobbista del business del denaro elettronico sia una giornalista d’assalto, una paladina della morale e della lotta all’evasione fiscale, che è investita di tanta stima da essere stata segnalata come possibile candidata alla presidenza della Repubblica (o, almeno, così ci è stato fatto credere). Il denaro elettronico non è certamente in grado di impedire l’evasione fiscale, ma è sicuramente capace di trasformare la microfinanza ed il microcredito in business talmente lucrosi da far impallidire persino i famigerati titoli derivati. Per le banche prestare denaro ai poveri non comporterebbe più nessun rischio, perché non s’intaccherebbe la riserva di banconote, ma si concederebbero a credito solo impulsi elettronici. Quindi non ci sarebbe più nessun vero pericolo di insolvenza, mentre, in cambio di un po’ di illusioni elettroniche, i poveri dovrebbero restituire per tutta la vita lavoro e beni.
Uno dei maggiori problemi attuali è che la natura del lobbying non viene affatto percepita dalla coscienza politica media. Una lobby non è altro che un gruppo che si aggrega attorno ad un business e preme con qualsiasi mezzo per realizzarlo. La lobby non si pone problemi di progetto politico o sociale, non ha una visione del mondo da proporre, se non quegli slogan che sono utili a confondere e sviare ogni possibile opposizione. Il lobbying può addirittura parassitare gli sforzi di razionalizzazione delle opposizioni, le quali tendono sempre a cercare un progetto o una concezione ideale, laddove invece vi sono solo propositi affaristici. Il lobbying fagocita il linguaggio e le idee degli oppositori e, attraverso un’opportuna distorsione, li riutilizza ai propri scopi affaristici. Per questo motivo, dei lobbisti delle multinazionali come la Thatcher o i Neocon americani, sono stati trattati dai loro oppositori come se fossero veri fenomeni ideologici.
Qualcosa del genere sta accadendo in seguito all’istituzione del sedicente Servizio di Valutazione Nazionale, che ha affidato la Scuola al rating dell’INVALSI. L’ex presidente della stessa INVALSI, Piero Cipollone, attualmente direttore esecutivo della Banca Mondiale, ha rassicurato i docenti circa i propositi puramente efficientistici dei test per gli studenti.
Il dissenso di gran parte degli insegnanti sui quiz INVALSI riguarda le conseguenze didattiche di una valutazione che riduce il sapere a nozioni elementari e formule prestabilite escludendo la dimensione critica del sapere. Si è aperta così una di quelle belle discussioni infinite, nella quale si può avere tutti ragione, poiché se da un lato sono evidenti i difetti dei quiz, dall’altro si potrà sempre replicare che a questo mondo non c’è nulla di perfetto. Le opposte tesi pedagogiche possono quindi scontrarsi nell’arena del “dibattito”, in nome di quella attrazione fatale per il futile da cui molti “oppositori” sono affetti.
In soccorso dei quiz sono arrivati anche due lobbisti della “flexsecurity” (cioè della carta di credito obbligatoria per precari e disoccupati), cioè i mitici fratelli Pietro e Andrea Ichino. Quest’ultimo ha addirittura paragonato i test INVALSI ad un termometro. La metafora è abbastanza demenziale da potere far scorrere il dibattito a fiumi.
Un articolo di Raffaele Simone su “La Repubblica” dello scorso dicembre però già anticipava che la Scuola non sarebbe comunque scampata al rating, poiché nell’attuale società nulla dovrà sfuggire alla valutazione. Il rating viene quindi proposto come ideologia totalizzante, anzi, come esca pseudo-ideologica per nascondere qualcos’altro.
Infatti, allo stesso modo in cui sono emersi i conflitti di interessi delle grandi agenzie di rating finanziario, così potrebbero emergere analoghe magagne nel rating scolastico. Tanto per cominciare, l’INVALSI è una piccola organizzazione che conta una sessantina di dipendenti, di cui i due terzi sono precari. L’INVALSI è talmente “trasparente” da permettersi di pubblicare l’organigramma sul proprio sito. Uno dei vantaggi del lobbying è quello di poter fare a meno dei segreti, tanto si è talmente distratti dagli slogan che non ci si accorge di niente.
Come potrebbe mai una simile struttura reggere il peso di un servizio di valutazione nazionale? Infatti è impossibile; perciò la somministrazione e la correzione dei test sono affidate agli insegnanti, cioè a quegli stessi che dovrebbero essere oggetto della valutazione. Il controsenso è talmente evidente da far supporre che il preteso “Servizio di Valutazione Nazionale” sia solo un pretesto, un raggiro.
A conferma di questa supposizione c’è da segnalare un recentissimo intervento del magnate di Microsoft, Bill Gates, sul “Washington Post”, che ha avuto una vasta risonanza su tutta la stampa americana, la quale, senza alcuna ironia, definisce lo stesso Gates come il “miliardario filantropo”. La Bill & Melinda Gates Foundation (la più grande fondazione privata del mondo) ha svolto un ruolo decisivo negli USA e nel mondo per imporre il rating degli studenti e degli insegnanti con lo strumento dei test.
I commentatori hanno però notato che, nel suo articolo sul WS, Gates sembra aver ripreso il linguaggio dei sindacalisti della Scuola per correre anche lui a ridimensionare l’attendibilità dei test come strumento di valutazione. Gates conclude perciò affermando che bisognerà trovare anche altre forme di indagine. Il motivo di questo voltafaccia di Gates è abbastanza ovvio: gli insegnanti americani ormai hanno imparato ad usare lo strumento dei test, perciò i risultati delle valutazioni vanno invariabilmente a loro favore. Ma non era questo lo scopo del rating, semmai quello di delegittimare la Scuola e di legittimare una sua tutela da parte di organismi privati.
Il tutore privato della Scuola italiana, l’INVALSI ha anch’esso un suo tutore, infatti non è altro che un prestanome ed un passacarte dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, che è oggi il vero ministro dell’Istruzione in Italia. A darci il segno di questa sottomissione è la stessa INVALSI sul proprio sito, illustrando un progetto OCSE di“alfabetizzazione finanziaria” degli studenti. Si tratta cioè di sapere attraverso opportuni test quanto questi studenti siano pronti a fruire dei servizi finanziari generosamente predisposti per loro dalle banche.
L’alfabetizzazione finanziaria è un piano mondiale predisposto dall’ OCSE in coerenza con il piano di “financial inclusion” della Banca Mondiale, di cui proprio Cipollone è direttore esecutivo. Sarà un caso, ma tutte le “riforme” che l’OCSE suggerisce sul mercato del lavoro e sull’istruzione presentano la solita costante, cioè la carta di credito per tutti.
Il piano di alfabetizzazione finanziaria delle masse studentesche è anche patrocinato dalla Banca d’Italia, da cui proveniva Cipollone prima di diventare presidente dell’INVALSI. Dal 2008 l’alfabetizzazione finanziaria è già in atto in via sperimentale in alcune scuole.
Dall’aprile scorso il MIUR ha varato, in collaborazione con BancoPosta, una Carta dello Studente che è diventata una carta di credito prepagata a tutti gli effetti, che i genitori potranno anche usare per la “paghetta” dei propri figli. Per il momento è una carta prepagata, ma, con il procedere della “educazione finanziaria”, potrà diventare una credit card a tutti gli effetti. L’importante è inoculare il virus dell’indebitamento nei ragazzi.
Tutto questo fervore di iniziative ha anche un altro sbocco pratico immediato. Infatti sul sito dell’INVALSI ci si mette al corrente del fatto che la soluzione più educativa per gli studenti sarebbe quella di entrare nell’idea di contrarre debiti con le banche per pagarsi gli studi universitari. La laurea deve quindi diventare per i giovani il veicolo di un indebitamento crescente e duraturo.
La Banca Mondiale ha lanciato un progetto mondiale di “inclusione finanziaria” delle masse povere, anzi, il progetto è stato adottato dalla stessa Banca Mondiale su diretta ispirazione della “Bill & Melinda Gates Foundation”, la stessa istituzione “filantropica” privata che, oltre che occuparsi di Scuola e Sanità, si preoccupa anche di inserire le masse povere degli “unbanked” nei meccanismi del credito, ovviamente per il loro bene. Insomma, Bill Gates ha creato una sua lobby internazionale del credito elettronico che usa la Scuola come stia di allevamento per futuri indebitati.

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Il controllo dell’opposizione, da Goldstein a Soros e oltre.

 

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Nel suo ultimo libro, The Invention of the Land of Israel, l’accademico israeliano Shlomo Sand riesce a fornire prove concludenti sull’inverosimile natura della narrativa storica sionista: che l’esilio ebreo è un mito come lo è il popolo ebreo e anche la terra d’Israele.
Ma, Sand e molti altri affrontano l’argomento più importante: se il sionismo si basa su un mito, come è che i sionisti gestiscono una forma di vita con le loro bugie e per così tanto tempo?
Se “il ritorno a casa” degli ebrei e la richiesta di una casa nazionale ebrea non ha fondamenta storiche, perché è stata sostenuta da tanti ebrei e occidentali per così tanto tempo? Come ha fatto Stato ebreo durante così tanto tempo a festeggiare la sua ideologia razzista e espansionistica a spese del popolo palestinese e arabo?
Una risposta, è, ovviamente il potere ebraico, ma cos’è il potere ebraico? Possiamo fare questa domanda senza venir accusati di antisemitismo? Possiamo discuterne il significato ed esaminare la sua politica? E’ il potere ebreo una forza oscura, controllata e governata da un potere cospirativo? E’ qualcosa da cui gli stessi ebrei fuggono? Contrariamente, il potere ebraico, nella maggior parte dei casi, si sviluppa proprio davanti ai nostri occhi. Come sappiamo, l’AIPAC è lontano dall’essere silenzioso con la sua agenda, con le sue pratiche e obiettivi. L’AIPAC, il CFI nel Regno Unito, e il CRIF in Francia, funzionano in modo aperto di frequente fanno un vanto dei loro successi.
Ancor di più, siamo ormai abituati a vedere i nostri leader democraticamente eletti fare la fila, in modo sfacciato, per inginocchiarsi davanti ai loro padroni economici. I neo conservatori certamente non sembrano sentire il bisogno di nascondere le loro strette filiazioni sioniste. La lega Antidiffamazione (ADL)il cui presidente è Abe Foxman, lavora apertamente per l’ebraizzazione del discorso occidentale, per perseguire e molestare chiunque osi esprimere qualunque tipo di critica a Israele.E, ovviamente, la stessa cosa viene applicata ai mass media, alle banche,a Hollywood. Sappiamo dei molti potenti ebrei che non hanno la minima vergogna per i loro vincoli con Israele e il loro compromesso con la sua sicurezza, l’ideologia sionista, l’unicità della sofferenza ebrea, l’espansionismo israeliano e anche lo sfacciato carattere di eccezionalità ebraica.
Ma essendo onnipresenti, l’AIPAC, il CFI e l’ADL, Bernie Madoff, il “libertador” Bernard Henri-Levy, il difensore delle guerre, Aaronovitch David, il profeta del libero mercato Milton Friedman, Steven Spielberg, Haim Saban, Lord Levy, altri molti entusiasti sionisti e i difensori dell’Hasbarà (propaganda sionista) non sono necessariamente il nucleo o la forza propulsiva dietro il potere ebraico.Il potere ebreo è in realtà molto più complesso che una semplice lista dei gruppi di pressione ebraici o persone che sviluppano abilità altamente manipolatrici. Il potere ebreo ha una capacità unica perché smettiamo di discutere o anche contemplare lo stesso. E’ la capacità di determinare i limiti del discorso politico e della critica in particolare.
Contrariamente al sapere popolare, non sono i “sionisti di destra” quelli che facilitano il potere ebreo. In realtà sono “il Buono”, l’”illuminato”, e il “progressista” che fanno del potere ebreo il potere più efficace e contundente della terra. Sono i “progressisti” quelli che confondono la nostra capacità di identificare le politiche tribali giudeo-centriche incrostate nel cuore del neo-conservatorismo, nell’imperialismo statunitense contemporaneo e nella politica estera. Viene definito “anti” sionista chi fa tutto il possibile per sviare la nostra attenzione dal fatto che Israele si definisce come Stato ebreo e accieca di fronte al fatto che i loro carri armati sono decorati con simboli ebrei. Sono stati gli intellettuali ebrei di sinistra ad affrettarsi a denunciare i professori Mershmeimer e Walt, a Jeff Blankfort e l’opera di James Petra di fronte alla lobby ebraica. E non è un segreto che Occupy AIPAC, la campagna contro la lobby politica più pericolosa degli USA, sia dominata da pochi membri della tribù eletta. Dobbiamo affrontare il fatto che le nostre voci dissidenti sono lontane dall’essere libere. Al contrario, ci troviamo di fronte a un caso istituzionale di controllo dell’opposizione.
In 1984 di George Orwell, forse Emmanuel Goldstein è il personaggio centrale. Il Goldstein di Orwell è un rivoluzionario ebreo, un Leon Trotsky di finzione rappresentato come il capo di una misteriosa organizzazione chiamata “La Fratellanza” è anche l’autore della maggior parte del testo sovversivo rivoluzionario (Teoria e Pratica del collettivismo oligarchico). Goldstein è la “voce dissidente”, è chi dice la verità. Addentrandoci nel testo di Orwell ci rendiamo conto che il partito di O’ Brien “Inner Circle” in realtà è stato inventato dal Grande Fratello nell’ambito di un palese tentativo di controllare l’opposizione e i limiti possibili della dissidenza.
La personale narrazione di Orwell sulla guerra civile spagnola, omaggio a Catalogna, chiaramente anticipava la creazione di Emmanuel Goldstein. E’ stata la testimonianza di Orwell sulla Spagna ciò che un decennio dopo si trasformò in una comprensione profonda della dissidenza come una forma di opposizione controllata. La mia congettura è che, alla fine del 1940, Orwell aveva compreso la profondità dell’intolleranza e le tendenze tiranniche e complici che giacciono nel cuore della “grande fratellanza” della politica e della prassi nella sinistra.
Sorprendentemente, un intento di esaminare la nostra opposizione contemporanea controllata dentro la sinistra e del progressismo rivela che è molto distante dall’essere cospirazionista. Allo stesso modo nel caso delle lobby ebraiche, viene definita “opposizione” mentre cerca di coprire i suoi interessi tribali, il suo orientamento spirituale e ideologico e la sua affiliazione.
Un breve esame della lista delle organizzazioni create dall’Open Society Institute (OSI) di George Soros, presenta un panorama non chiaro. Quasi tutta la rete progressista statunitense si finanzia, in parte o in grande parte, da un sionista liberale, il multimilionario filantropo che sostiene molte cause importanti che sono in grande parte pro sioniste. Esattamente come il sionista Haim Saban, Soros non opera clandestinamente. La sua Open Society Institute offre orgogliosamente tutta l’informazione necessaria riguardo la quantità di shekels (moneta israeliana) con cui finanzia le sue cause.
Quindi non si può accusare Soros o l’Open Society di nessuna oscura ricerca del discorso politico che soffoca la libertà d’espressione, neanche di “controllare l’opposizione”. Tutto ciò che Soros fa è appoggiare un’ampia varietà di “cause umanitarie”: diritti umani, diritti della donna, diritti dei gay, l’uguaglianza, la democrazia, la Primavera Araba, l’inverno arabo, l’oppresso, l’oppressore, la tolleranza, l’intolleranza, Palestina, Israele, contro la guerra, favorevole alla guerra (solo quando sia veramente necessario) e così di seguito.
Come nel Grande Fratello di Orwell,che inquadra i limiti della dissidenza per mezzo del controllo dell’opposizione, l’Open Society di Soros determina anche i limiti del pensiero critico. Ma a differenza di 1984, dove è il partito ad inventare la sua stessa opposizione e scrive i testi, dentro il nostro discorso“progressista”, sono proprio le nostre voci di dissenso, volontariamente e coscientemente, quelle che compromettono i suoi stessi principi.
Soros può aver letto Orwell- e chiaramente credere nel suo messaggio- perché a volte sostiene anche forze oppositrici. Ad esempio finanzia il movimento filo sionista J.Street così come le ONG palestinesi. E indovinate cosa? Non ci mettono molto tempo i beneficiari palestinesi a mettere in discussione i loro preziosi principi per farli incastrare perfettamente alla visione del mondo del loro benefattore. Leggi il resto dell’articolo

Mazzini, massoneria, cospirazioni

Mi capita spesso, girando per siti “cospirazionisti” e non, di veder indicati lo “stato nazionale” e la “sovranità nazionale” quali ultimi baluardi contro l’ininterrotta avanzata dei poteri sovranazionali.
L’errore sta nel considerare le potenze sovranazionali come contrapposte ed antagoniste degli “stati nazionali”.
In verità, questi stessi stati nazionali non rappresentano che un passaggio verso la meta definitiva, che si rispecchia nell’edificazione dello stato unico mondiale.
Più che concorrenti ed antagonisti, essi ne sono precursori, ed in ogni caso ne condividono l’essenza, ovvero l’acquisizione delle libertà del singolo e il loro trasferimento in apparati governativi.

Lo stato è già una gabbia, e i gruppi sovrannazionali preparano semplicemente una gabbia più grande.

Per dirla con Giuseppe Mazzini, uno dei grandi precursori del pensiero mondialista,
“La vostra fede (sta parlando ad una platea di massoni, n.d.S.) abbraccia tutta quanta l’Umanità.
Ma la Patria è il punto d’appoggio della leva, l’altare dell’Umanità.”

Le “patrie”, gli stati nazionali, sono i punti d’appoggio su cui si doveva edificare il progetto più grande, universale.
E così sta accadendo. (Carlo Santaruina) 

Gli Illuminati erano repubblicani…

Lettera di Mazzini alle Logge Massoniche ai Fratelli di Sicilia
Lugano, 27 Agosto 1863

Fratelli.
Abbiatevi una stretta di mano da me ed una parola di gratitudine e di augurio.
La stretta di mano è a voi come patrioti dell’Isola iniziatrice.
La parola usata e d’augurio è a voi come Massoni.
Voi avete una importante missione da compiere: quella di restituire la Massoneria all’antico spirito dell’istituzione.
E dico: restituire, perché la Massoneria non fu, nei periodi nella sua potenza, straniera, come poi la fecero, ai destini politici dei popoli.
Fu dall’origine la santificazione del Lavoro.
E il Tempio, simbolo d’ un ordinamento sociale, racchiudeva nel concetto tutta quanta l’attività umana.
Molay cadde vittima d’un re e d’un papa.
Piú dopo, la Massoneria dava parola d’ordine ai suoi: L.P.D. lilia pedibus destinam e distruggeva infatti i gigli di Francia.
Gli Illuminati erano repubblicani.
Fu soltanto nell’epoca del suo decadimento che l’istituzione si ridusse a formola di amicizia e di carità mutua, accogliendo principi nel suo seno.
Il risorgere d’un Popolo è solenne occasione al risorgere dell’istituzione.
E voi lo intendete e lo farete intendere ad altri.
L’Italia Una e Repubblicana deve essere il Tempio dal quale la bandiera che non conosce padroni se non Dio nel cielo e il Popolo in terra, insegnerà amore, fratellanza d’uguali e associazione delle nazioni.
La vostra fede abbraccia tutta quanta l’Umanità.
Ma la Patria è il punto d’appoggio della leva, l’altare dell’Umanità.
Siate dunque Italiani per potere operare colla forza di venticinque milioni di liberi a pro’ dell’intero mondo.
Fate che i vostri non dimentichino nelle forme lo spirito.
Il simbolo senza l’idea è cadavere.
E i massoni del XIX secolo e d’Italia devono essere piú vicini d’un passo alla rivelazione dell’Idea che non quelli dei secoli addietro.

Voi volete gli uomini fratelli; volete dunque che sia abolito il privilegio ereditario governativo.
Il Gran Maestro non è né può essere ereditario.
Voi volete la luce per tutti.
Voi dunque volete abolire il monopolio della luce e della scienza in un solo individuo.
Il Grande Architetto dell’Universo non ha vicarii in terra, se non quelli che piú lavorano col sagrificio all’edificazione del suo Tempio.
Guardate al Papato, e dite se la sua caratteristica è il sagrificio.
Monarchia e Papato adunque sono incompatibili col trionfo della vostra Istituzione.
Non lo dimenticate.
Dio e il Popolo: ecco il vostro simbolo; la vostra parola sacra.
Guidate per mano i vostri adepti ad esso e moltiplicate.

E non vi separate da quanto riguarda i dolori, i bisogni, le aspirazioni dei vostri fratelli profani ancora.
Il miglior metodo d’iniziazione è la comunione con essi.
Abbiatemi fratello nella fede dell’avvenire.

Gius. Mazzini
(Scritti editi e inediti, Edizione Nazionale, LXXVI, Epistolario XLVI, pp. 48-52)
Così si rivolgeva Giuseppe Mazzini, Padre della patria, ai fratelli massoni delle logge siciliane.
Un documento storico di una importanza notevole.
I rapporti tra Mazzini e la massoneria sono noti; secondo il grande Oriente d’Italia Mazzini fu massone e ricoprì anche la carica di Gran Maestro, mentre secondo altri storici la sua affiliazione alla libera muratoria non è ancora provata.
Quel che è certo è che Giuseppe Mazzini condivideva gli scopi e i valori della massoneria, e ad essa guardò sempre con grande simpatia.
In questa lettera rivolgendosi ai fratelli siciliani rievoca il ruolo della massoneria, e ricorda come fu proprio la libera muratoria la protagonista della rivoluzione francese.
Gli storici che sostengono questa posizione attualmente vengono catalogati nel filone del “complottismo”, mentre per Mazzini e i massoni del XIX secolo era una realtà assodata.
Mazzini si spinge oltre, sostenendo che “Gli illuminati erano repubblicani”.
Il riferimento è agli Illuminati di Baviera di Weishaupt, quell’ordine segreto settecentesco che aveva come obiettivo la distruzione dell’ordine sociale esistente, e l’edificazione di un Nuovo Ordine retto dagli iniziati.

Ufficialmente la massoneria odierna disconosce e prende le distanze dalle idee e dall’operato degli illuminati, e dalla loro ideologia indubbiamente luciferiana.
Le parole di Mazzini dimostrano invece chiaramente come ancora nel XIX secolo l’eredità dell’ordine di Weishaupt fosse orgogliosamente rivendicata dai liberi muratori.
Infine, risultano interessanti i riferimenti di Mazzini alla visione “mondiale” della massoneria e dei nuovi stati nazioni che per opera della massoneria stessa stavano sorgendo.
Stati nazione che rappresentavano solamente un primo passo verso una unione più ampia, sovranazionale.
Parole e concetti che risultano alquanto familiari alle nostre orecchie, dal momento che i nostri “rappresentanti democratici” non perdono occasione di ribadirli.
E tutti i vari “capi di stato” che con devozione esaltano la visione e la “religiosità” mazziniana, a quale religiosità si riferiscono?

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La Nato economica al lavoro

eu_us_flagDi Manlio Dinucci

«L’amore statunitense per il popolo italiano, che ospita così tante basi militari Usa sul proprio territorio..»: lo ha dichiarato il presidente Obama ricevendo alla Casa bianca il presidente Napolitano «l’indomani di San Valentino». Perché tanto amore? Il popolo italiano«accoglie e ospita le nostre truppe sul proprio suolo».
Accoglienza molto apprezzata dal Pentagono, che possiede in Italia (secondo i dati ufficiali 2012) 1485 edifici, con una superficie di 942mila m2, cui se ne aggiungono 996 in affitto o concessione. Sono distribuiti in 37 siti principali (basi e altre strutture militari) e 22 minori. Nel giro di un anno, i militari Usa di stanza in Italia sono aumentati di oltre 1500, superando i 10mila. Compresi i dipendenti civili, il personale del Pentagono in Italia ammonta a circa 14mila unità. Alle strutture militari Usa si aggiungono quelle Nato, sempre sotto comando Usa: come il Comando interforze, col suo nuovo quartier generale di Lago Patria (Napoli).
«Ospitando» alcune delle più importanti strutture militari Usa/Nato, l’Italia svolge un ruolo cardine nella strategia statunitense che, dopo la guerra alla Libia, non solo mira alla Siria e all’Iran ma va oltre, spostando il suo centro focale verso la regione Asia/Pacifico per fronteggiare la Cina in ascesa.
Per coinvolgere gli alleati europei in tale strategia, Washington deve rafforzare l’alleanza atlantica, anche economicamente. Da qui il progetto di un «accordo di libero scambio Usa-Unione europea», riproposto da Obama nell’incontro con Napolitano. Accordo che riscuote l’incondizionato appoggio del presidente italiano ancor prima che sia scritto e ne siano valutate le conseguenze per l’economia italiana (soprattutto per le pmi e le aziende agricole). Si tratta, sottolinea Napolitano, di «un nuovo stadio storico nei rapporti tra Europa e Stati Uniti, non solo economicamente ma anche da un punto di vista politico».
Si prospetta dunque una  «Nato economica», funzionale al sistema politico-economico occidentale dominato dagli Stati uniti. Sostenuta dai grandi gruppi multinazionali, come la potente banca statunitense Goldman Sachs. Il nome è una garanzia: dopo aver partecipato alla truffa internazionale dei mutui subprime e aver così contribuito a provocare la crisi finanziaria che dagli Stati uniti ha investito l’Europa, la Goldman Sachs ha speculato sulla crisi europea, istruendo i suoi principali clienti su come fare soldi con la crisi e, subito dopo, piazzando al governo in Italia (grazie a Napolitano) il suo consulente internazionale Mario Monti.
Il cui governo è stato subito garantito dal segretario del Pd Bersani come «autorevole e a forte caratura tecnica». Lo stesso Bersani, intervistato da America 24, dichiara ora che, «nella tradizione di governo del centrosinistra di assoluta fedeltà e amicizia con gli Stati uniti, siamo assolutamente favorevoli a che fra Europa e Stati uniti si creino meccanismi di libero scambio». Comunque vada il voto, l’adesione dell’Italia alla Nato economica è assicurata.

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IL DENARO RIMANE IL CANDIDATO VINCENTE

images (3)La notizia dell’abdicazione del papa ha sottratto per un po’ al Buffone di Arcore il centro dell’arena mediatica, proprio mentre questi era tanto preoccupato che il festival di Sanremo potesse mettere in ombra il suo festival di promesse elettorali. Da parte dell’opinione di sinistra si ripete il consueto errore di considerare il risveglio dell’elettorato del PdL come una dimostrazione di fiducia nelle promesse del Buffone. Forse ci sarà pure qualcuno davvero disposto a credere a quelle promesse, dato che a questo mondo c’è di tutto; ma non è questo il punto. L’elettore di destra ha udito il suo leader affermare di essere stato “costretto” a votare l’IMU in parlamento; così come magari fu “costretto”, da Presidente del Consiglio, a varare nel 2005 la legge istitutiva che diede vita ad Equitalia.
Allo stesso modo, il Buffone potrà benissimo essere “costretto” a rimangiarsi la promessa di abolire e rimborsare l’IMU, magari per colpa della farraginosità della Costituzione, che gli avrebbe sempre impedito di governare come lui vorrebbe e saprebbe. Queste cose l’elettore di destra le sa o le intuisce benissimo. Ciò che l’opinione di sinistra invece tende sempre a sottovalutare, è la portata ideologica di alcuni slogan ripresi dal ghost writer del Buffone, a cominciare dal concetto di costrizione.
Per decenni la destra ha giustificato la fuga del re Vittorio Emanuele III nell’8 settembre del ’43, argomentando che lo stesso re fu “costretto” alla fuga. I nostalgici del re potevano essere contemporaneamente nostalgici anche di Mussolini, sorvolando sul fatto che i due nel ’44 e nel ’45 erano stati su sponde opposte, da nemici a tutti gli effetti. In fondo erano stati entrambi “costretti”.
La pietra angolare dell’edificio ideologico della destra è infatti il vittimismo. La mitologia dominante ci presenta la ricchezza come una fortezza assediata dall’invidia e dalle lamentele dei poveri. La subalternità ideologica della sinistra si dimostra continuamente nell’incapacità di uscire da questa visione, perciò i ricchi possono essere considerati al massimo colpevoli di indifferenza; e quindi la povertà viene interpretata come uno spiacevole effetto collaterale di tale indifferenza.
Non sarebbe niente di grave se la mitologia del “ricco soddisfatto” se la coltivasse solo la destra; purtroppo è la sinistra ad incentivare il mito dell’indifferenza del ricco, così come viene rappresentato nella parabola del ricco Epulone del vangelo di Luca. La posizione di sinistra si riduce quindi ad un problema di redistribuzione della ricchezza, magari aumentando le tasse ai ricchi.
I ricchi invece si occupano dei poveri, eccome. Il vero problema è infatti che dal vittimismo padronale viene fatta discendere la necessità di un assistenzialismo per i ricchi, con la conseguente urgenza di comprimere le pretese dei poveri, costringendoli persino a versare un’elemosina ai ricchi. Non è affatto vero che i ricchi si disinteressino dei poveri; anzi, li considerano una vacca da mungere.
Che la ricchezza sia un fenomeno socialmente assistito, e che la povertà venga coltivata come il principale dei business, sono concetti scomparsi nella sinistra attuale. Anche il fatto che la ricchezza sia socialmente aggressiva, una forma di guerra permanente dei ricchi contro i poveri, per la sinistra è ormai roba da ufficio dei concetti smarriti.
Ciò che si sta attuando in queste settimane è quindi un risveglio identitario della destra, sotto la vecchia e gloriosa bandiera ideologica del vittimismo. Più le promesse del Buffone suonano assurde, più il votarlo conferisce efficacia al dispetto che si fa alla cosiddetta sinistra.
Ma il voto identitario non è certo quello che fa vincere le elezioni. Il voto ideologico è vischioso, e ciò che decide alla fine è lo spostamento delle masse di suffragio gestite dalle baronie del controllo del voto. Anche il voto di scambio non è sempre infallibile nei risultati, ma se rimane qualche regione in bilico, un’aggiustatina la si può sempre fare al Viminale. La questione del voto di scambio non va ridotta ai casi dei voti comprati per cinquanta euro, ma riguarda il controllo sociale dei territori. La fine della cosiddetta prima Repubblica è stata segnata dalla morte di grandi baroni del voto, come Toni Bisaglia in Veneto, Carmine Mensorio in Campania e Salvo Lima in Sicilia. Il primo morì per un “incidente”, il secondo fu “suicidato”, e solo il terzo fu ammazzato platealmente. Da circa due anni le baronie del voto sono in posizione attendistica, ed occorrerà vedere chi avrà la disponibilità finanziaria per andare a riallacciare i rapporti e stringere i patti di scambio. I casi della Tunisia e dell’Egitto costituiscono esempi significativi delle fortune elettorali del candidato/denaro. In questi due Paesi le formazioni religiose si sono infatti avvalse dei finanziamenti dell’Emiro del Qatar, Al Thani, così che la tanto decantata laicità della società egiziana e della società tunisina è andata a farsi benedire.
Il sito del Consiglio Atlantico della NATO non si fa neanche scrupolo di ammettere che è proprio Al Thani a finanziare la “democrazia” in Siria, rifornendo di armi i “ribelli”, cioè i propri mercenari; alla stessa maniera in cui era stata portata la democrazia in Libia. Eppure si tratta di ingerenze illegali e di violazioni palesi della Carta dell’ONU. Ma il Qatar ormai fa parte a tutti gli effetti della NATO, perciò non è tenuto a rispettare il diritto internazionale.
Lo stesso sito del Consiglio Atlantico non si fa problemi a farci sapere che è sempre Al Thani lo sponsor dei Fratelli Mussulmani in Egitto, andando persino in rotta di collisione con l’orientamento dei suoi alleati degli Emirati Arabi Uniti.
Al Thani non si è limitato a comprarsi il voto in Tunisia; ora si sta comprando tutta la Tunisia, con un miliardo di dollari, tanto per cominciare. Ma l’arrivo di tutto questo denaro non è soltanto un modo per acquistare un Paese, ma anche una tecnica per destabilizzarlo, come dimostrano le vicende di questi giorni.
In base alla fiaba ufficiale il ricco Al Thani, invece di fare tanto il facinoroso, dovrebbe starsene tranquillo e soddisfatto a godersi i suoi soldi, magari infastidito ogni tanto dalle querule rivendicazioni dei poveri. Anche a proposito del Buffone di Arcore si sente ancora spesso la domanda sul perché uno che ha tutti quei soldi, invece di farsi i fatti suoi, voglia occuparsi di politica. Si tratta di una domanda retorica, che sottintende che lui è troppo buono. L’eccesso di bontà potrebbe essere il difetto caratteriale anche di Al Thani. L’eccesso di bontà è infatti l’unico difetto che i potenti sono disposti a riconoscersi

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