Declino con incognite

                                                                                                                                                              1. Il 14 dicembre dell’anno scorso Berlusconi, fra lo stupore quasi generale e la rabbia irrefrenabile di chi già manifestava il giubilo per la sua…..giubilazione, si salvò; per poco, ma in modo chiaro. E da lì iniziò la fine del primo attacco a fondo portato, soprattutto con l’appoggio di Fini, dopo la lunga preparazione di un 2010 passato a illustrare scandali “tra le lenzuola” con un moralismo d’accatto, tipico di forze politiche comunque ormai marce e storicamente finite (al massimo potranno continuare a sopravvivere come zombi portando l’Italia al disfacimento totale). In un primo tempo, salvatosi, egli sembrò avere un sussulto di lucidità e parlò di andare a nuove elezioni, che in quel momento – ne sono convinto – gli avrebbero permesso di regolare i conti con una “sinistra” (e “destra” finiana che non era cosa diversa nel panorama dell’antipolitica italiana) ormai allo sbando. Entrò però in campo la seconda linea d’attacco (Napolitano), che fece balenare l’intenzione di non concedere lo scioglimento delle Camere e di tentare l’ammucchiata di tutti gli antiberlusconiani, da “sinistra” a “destra” (secondo queste finzioni ormai ridicole, ma che si possono usare come si fa a teatro con le maschere).

Berlusconi esitò e scelse la strada del galleggiamento con recupero dei fuoriusciti e perfino di alcuni che erano stati eletti con l’“altra maschera”. Tutti gridarono alla compera di deputati nel solito vaniloquio che nasconde accuratamente la realtà. Segnali precisi del fatto che Berlusconi aveva imboccato negli ultimi mesi dell’anno la “via della salvezza” erano il ritorno al Cavaliere di Ferrara e, in forma appena più mitigata, di Guzzanti. Che significavano questi ritorni? L’abbandono da parte del premier di velleità di politica estera (di cui parleremo meglio in futuro in una valutazione più complessiva della situazione internazionale), che gli avevano fatto combinare qualcosa di positivo (per il paese) tra il 2003 e il 2009, pur se non credo per sua propria iniziativa, ma per quella di forze rimaste sempre oscure, ma che sono convinto siano state “dietro” di lui fin dal 1993-4, mai capaci tuttavia di manifestarsi e di pesare infine in modo decisivo nella scena politica italiana (e negli apparati di potere reale dello Stato). Quel che è accaduto negli ultimi mesi pur tra qualche esitazione e apparente ritorno sui suoi passi – il tutto a mio avviso calcolato per non rompere decisamente e da un giorno all’altro con chi lo aveva, nascostamente, sostenuto – ha mostrato il totale cedimento berlusconiano di fronte alla politica “del serpente” obamiana (in realtà, anche qui, c’è una distorsione del reale, perché tale politica inizia con Gates, ex capo della Cia, che prende il posto di Rumsfeld nel novembre del 2006 e dà avvio alla tattica del caos o della “fluidità”, guidata nello scorrere casuale dei suoi “rivoli”, ma sempre con margini di aleatorietà, utili fra l’altro a confondere e spiazzare massimamente gli avversari).

Questo cedimento è stato essenziale per salvarsi dall’attacco forsennato di magistratura e Fini; non c’era alcun bisogno di pensare a compere di deputati. Questi ultimi – essendo in buona parte quelli del Fli rientrati avendo colto il fallimento di questo primo attacco – si spostarono perché avevano colto il riallineamento agli Usa e quindi il possibile nuovo favore concesso da tale paese al “figliol prodigo” rientrato pienamente in famiglia (perché comunque la famiglia di Berlusconi è quella americana, sia chiaro). E’ ovvio che però il “perdono” è parziale e l’“ometto” va comunque tenuto sotto pressione con la seconda linea d’attacco, il cui leader manifesto (semplice mandatario di ben altri “capi”) è in Italia Napolitano, ma che conta uomini come Draghi, più nascostamente e subdolamente Tremonti (sempre sgusciante come un’anguilla, con dichiarazioni “emotive” in contrasto netto con le sue decisioni effettive).

Da qui inizia il reale declino di Berlusconi. La popolazione italiana non capisce alcunché di politica, soprattutto estera; coglie però l’incertezza dell’uomo, il suo non controllo della politica economica, malgrado i malumori (reali o ancora una volta di mascheramento ad uso dei suoi sostenitori?) nei confronti di Tremonti. Così pure, quando scoppia la crisi libica, personaggi di una modestia intellettuale e politica assoluta come Frattini e persino La Russa sembrano guidare le scelte dell’Italia, sempre con le “finte e controfinte” del premier, che cerca di non fare la figura oscena di chi contraddice a 180° il credito concesso entusiasticamente a Gheddafi, Putin, ecc. fino a pochi mesi, oserei dire settimane, prima. La partita, a mio avviso, è ormai ampiamente truccata. Il Cavaliere ha già accettato il suo declino, ma sta contrattando – e in questo uomini come Ferrara, un po’ (molto) meno Guzzanti, sono utili – una fuoriuscita morbida che salvi l’essenziale dei suoi interessi. Mi dispiace per i suoi elettori, ma anche le elezioni ultime sono di fatto truccate. Intendiamoci: non è che Berlusconi volesse perdere Milano, certi eventi sono andati “troppo oltre”. Tuttavia, non è così dispiaciuto e di “cattivo umore” come si dice (perché lui lo fa dire).

Si impegnerà anche, fittiziamente, nell’impossibile recupero, avendo però già fatto i conti con quanto accadrà; mentre i suoi ancora accaniti fan sono convinti che il clima sia quello della rivincita a tutti i costi. Nulla di più lontano dalle intenzioni del premier; se fossero state realmente queste, si sarebbe comportato (e avrebbe chiesto a politici e giornalisti di “sua osservanza” di comportarsi) in modo totalmente diverso. Invece insiste sul solito errore, che gli ha impedito, dopo vent’anni, di regolare definitivamente i conti (come avrebbe potuto fare) con chi gli dava ossessivamente “la caccia”. Egli è certo profondamente ignorante in politica e storia (la mancanza di conoscenze in campi “più teorici” gliela abbono); tuttavia, non lo si prenda per tanto mentecatto da non sapere da dove è sempre provenuto un certo malcontento per le mosse di politica estera che, lo ribadisco, non sono particolarmente sue bensì di quei settori nascosti, trinceratisi dietro di lui, di cui ho già detto.

Egli sa benissimo che tutte le sue difficoltà sono sempre provenute dagli Usa. In altro articolo, chiariremo perché queste difficoltà erano tutto sommato minori con la bushiana politica “della tigre” in confronto a quelle avute a partire dall’ascesa di Robert Gates con la sua tattica del caos e della liquidità (o fluidità). Qui intendo mettere in luce un altro aspetto di quell’infantile mascheramento usato da Berlusconi, durato perfino troppo tempo (quasi 20 anni), ma ormai giunto al limite della sua efficacia. Non che il mascheramento sia caduto; non che i suoi fan abbiano capito che si tratta di una scemenza colossale. Semplicemente, con la nuova situazione, quella finzione non tiene più. Berlusconi lo sa, ma ormai gli serve come “porta d’uscita”, ormai sa che se ne deve andare, cercando però di non essere distrutto. Anzi, proprio adesso, quella finzione può, sia pure manovrata diversamente, servire ancora. Vediamo il marchingegno dei “falsari in azione”.

2. Come detto più volte, nel 1991, dopo il crollo socialistico e venuta a maturazione la dissoluzione dell’Urss, si manifesta in piena luce il processo “degenerativo” – di rinnegamento, di cambio di campo o usate il termine che più vi piace – del Pci, iniziato con la segreteria Berlinguer e che ebbe come passaggio importante il viaggio di Napolitano (considerato n. 2 di Amendola) negli Usa nel 1978. Del gradimento degli Usa verso il Pci già in quegli anni si sa ormai abbastanza, così come del fatto che non poteva ancora entrare al Governo per via di forti “residui” filosovietici (più che altro ritenuti tali) che non era il caso mettessero il naso in certi “affari” della Nato, della politica “atlantica” del campo detto “capitalistico”, cioè quello centrato sugli Stati Uniti, di cui veniva accettata la piena predominanza (con la sola parziale, e assai breve, eccezione gollista).

In realtà, almeno a livello degli organi dirigenti – la “base militante”, come tutte le “basi” di questo mondo, nulla sa della vera politica dei suoi capi – il Pci era diviso in due grosse correnti, di cui quella maggioritaria fino alla segreteria Berlinguer (la “migliorista”) era già in minoranza nella seconda metà anni ‘70; e, appunto, il presunto suo n. 2 aveva già preso atto della situazione (tanto per sapere che quest’uomo se ne intende da molto tempo di “balli in maschera”; e il leader, Amendola, era già indebolito, non solo politicamente, e morirà nel 1980, anno della in fondo cercata, comunque accolta con sollievo, sconfitta della “classe operaia” torinese alla Fiat). Questa corrente, che guidò la “via italiana al socialismo” lanciata nel 1956 da Togliatti, era già “democratico-occidentale”, favorevole allo sviluppo capitalistico (per questo noi la combattemmo come revisionista e socialdemocratica). Era però per uno sviluppo capitalistico relativamente autonomo e quindi aperto ad una seria ostpolitik, in appoggio a quella preconizzata dai socialdemocratici tedeschi. Come ho spiegato nel mio “Panorama storico”, questa politica fu combattuta (e non credo non capita, ritenuta invece concorrente) da Craxi; e ciò ha avuto grande influenza negativa su quanto accaduto poi fino ai giorni nostri.

L’altra corrente, berlingueriana, fu assai più nettamente asservita al progetto occidentale manovrato dagli Stati Uniti, alleandosi con il peggiore capitalismo italiano (guidato dalla Fiat) e portando avanti la “concertazione” (iniziata con il patto Agnelli-Lama del 1975) e il “compromesso storico” con la Dc, che di fatto fu orientato – da questa corrente piciista (e da buona parte del partito di maggioranza) – contro il Psi, oltre che contro la propria corrente interna già citata (migliorista), due forze che marciarono separate facendosi così “macinare”. La corrente berlingueriana fu la più dura e forcaiola contro il “terrorismo” (ci si ricordi Pecchioli; ma non se ne capì all’epoca il reale motivo, che dipendeva appunto dallo schieramento con il capitalismo “peggiore” e più succube agli americani). Sempre in quell’anno cruciale (1978) ci fu il rapimento, ecc. di Moro, momento rilevante dello svolgimento di quei processi (ancor oggi oscuri) che hanno condotto allo sfacelo italiano dei nostri giorni. E il Pci (ormai in mano ai berlingueriani) fu il più duro nella non trattativa per tentare di salvare il dirigente democristiano. Tutto sempre in nome della “suprema diversità morale” dei “comunisti”, che sfoggiavano il ruolo di “grandi custodi della Legalità”.

In questa vergogna del passaggio di campo, travestito da superiorità morale, il centro berlingueriano si trovò di fatto a fianco – prima oggettivamente, forse anche in buona fede, in seguito non più – la cosiddetta “sinistra”, il cui antisovietismo si nutriva apparentemente di critica “da sinistra” del “socialismo reale” (usando fino al 1976 il maoismo e continuando anche dopo con la finzione della “radicalità comunista”), ma che invece appoggiava tutte le battaglie del liberalismo filo-atlantico (rivolta praghese del ’68) e del fondamentalismo cattolico (rivolta polacca di Solidarnosc, Wojtyla, ecc.). Una grande recita, mai disvelata nemmeno al 10%, ma di cui adesso non abbiamo il tempo di parlare.

Quando nel 1991 l’Urss si dissolse dopo il crollo del campo detto “socialista” (quello europeo), il Pci svoltò apertamente verso l’atlantismo (e quindi la svolta apparve come un brusco voltafaccia perché non si era seguita la trafila ventennale della sua preparazione) e verso la Confindustria (Agnelli che dichiarò: i miei interessi di destra sono meglio difesi, sottinteso oggi, dalla sinistra), strettamente legata, in subordinazione, agli Usa. Si verificò tutto ciò di cui abbiamo più volte scritto: panfilo Britannia (semplice simbolo del processo di smantellamento della nostra industria strategica), mani pulite (demolizione del vecchio regime per affidare il paese a coloro che ormai erano i più fidati segugi dell’occidente atlantico), ecc.

Ebbene, toccato certo nei suoi interessi, Berlusconi entrò in campo e sventò la piena realizzazione dell’intero processo; e dietro di lui si misero evidentemente quei settori – troppo nascosti e che hanno infine mostrato tutta la loro debolezza – di cui detto sopra. A questo punto, per quanto uno sia sciocco, non può non avere capito per conto di chi agivano gli ex “comunisti” (lasciatemi dire piciisti perché è un insulto alla storia accreditarli a quella del comunismo, abbandonato da tutte le correnti di quel partito, sia pure a tappe e svolte, in pratica dagli anni ’50). Eppure, l’“amerikano” Berlusconi, poiché non vi è dubbio che sia sempre stato proiettato completamente in quella direzione, trovò conveniente fingere di avere contro ancora i comunisti. Avevano cambiato solo nome, per subdola astuzia, ma il loro fine era sempre il solito. Un fine, guarda un po’, perseguito con a capo tutti i vecchi “boiardi di Stato” di fede atlantica e sempre stati accesamente anticomunisti: Amato, Prodi, Ciampi, Dini, e via dicendo. In più l’astro nascente, Draghi, partecipe di tutto il processo di svendita dell’industria pubblica, via via premiato con la vicepresidenza della Goldman Sachs, con la Banca d’Italia, adesso con quella Europea, in un crescendo rossiniano di smaccato filo-americanismo. Delle parole di fuoco dette da Cossiga contro costui nessuno si ricorda più; ma è logico che sia così, poiché anche il caustico sardo si guardò bene dal mettere in rilievo la funzione che costui svolgeva e svolge, puntando la sua feroce critica solo su “carenze” personali.

3. Berlusconi aveva apparentemente trovato la “quadratura del cerchio”: restare filo-americano e nel contempo denunciare accesamente come “comunisti” i nuovi “eletti” dagli Usa (e Confindustria) a propri rappresentanti, i quali, sconvolti dal fatto che egli li aveva defraudati del prezzo del tradimento, si diedero ad assalirlo solo per via personale, con accuse assurde (il fascismo), con tutti i pezzi degli apparati di Stato (magistratura, parti decisive dei Servizi e altri) che erano stati messi a loro disposizione da una “Amministrazione statale”, creata in decenni di asservimento agli Stati Uniti quali centro del “mondo capitalistico”. I piciisti continuarono con la vecchia solfa berlingueriana della supremazia morale, dell’alta custodia della Legalità. In ciò aiutati da un ceto intellettuale e giornalistico, asservito alla grande finanza e alla Confindustria in mano ai parassiti, a quei peggiori capitalisti, per un bel po’ capitanati da Agnelli, di cui si è detto mille volte in questo blog. Per vent’anni, si è svolta la grande recita: Berlusconi, salvatore di metà popolazione contro i comunisti lanciati al potere; e una trafila di bestioni detti di “sinistra”, lanciati al salvataggio dell’altra metà popolazione, che vive di spesa statale (con il gonfiamento dei “ceti medi” del pubblico, effetto del “compromesso storico” come ho già messo in luce nel “Panorama storico”) o di svendita dell’intera propria personalità alla parte peggiore del capitalismo, parassitaria e succube degli Usa.

La recita, per motivi che chiarirò in altro saggio successivo, è andata a buon fine – ma senza che ne potesse risultare un vincitore definitivo, perché altrimenti i due “guitti” sarebbero crollati insieme – fino a quando gli Usa, credendosi ormai padroni del mondo dopo il crollo dell’Urss, hanno attuato la politica “della tigre”, con attacchi violenti e mirati in alcune zone ritenute strategicamente cruciali per impedire la crescita di eventuali concorrenti. A questo si univa la missione di diffondere la “democrazia occidentale” (elettoralistica, anonima, asettica) mediante le ben note – e non pacifiche né asettiche – rivoluzioni colorate. Nel novembre 2006 Rumsfeld, l’ultimo (almeno fino a questo momento) rappresentante di questa politica è stato sostituito con Gates (ex della Cia, a capo della quale va oggi Petraeus, colui che di fatto ha accompagnato il mutamento della guerriglia irakena in lotta tra sciiti e sunniti, sostituendo poi in Afghanistan McChrystal, legato alla vecchia concezione strategica degli Usa “imperiali”). La svolta viene solidificata con l’elezione di Obama alla presidenza.

Nessuno ci capisce gran che. Tuttavia, Berlusconi deve aver sentito un certo cambiamento del “fiato americano sul suo collo” e va in Russia nel 2009 a parlare con Putin; e poi i due si mettono in videoconferenza con Erdogan. Non so se i tre si siano resi conto fino in fondo che certe mosse apparentemente economiche – fra cui anche il gasdotto Southstream, che la Turchia inizia a vedere di buon occhio, mentre prima sembrava favorire il Nabucco, nella sostanza americano (lasciando perdere le quote azionarie, care a formalisti) – venivano configurandosi come embrionale, e molto informe, “asse” Russia-Turchia-Italia che si prolungava fino a Libia (e Algeria, ancor oggi “dimenticata”; forse perché gli Usa non vogliono mettere troppa carne al fuoco; basta eliminare Gheddafi e il gioco è fatto). E’ ovvio che in quell’incontro non si sono prese contromisure adeguate.

Nel 2011 esplode chiaramente la nuova politica americana (già da noi denominata “del serpente” fin dall’elezione di Obama nel 2008, ma che adesso mostra assai meglio i suoi contorni). E qui si apre un nuovo discorso, che deve essere accuratamente pensato perché è stato comunque spiazzante. D’altra parte, se ha spiazzato Berlusconi, Putin, Erdogan, Gheddafi (e anche, sissignore, Bin Laden, che ha un suo “statuto speciale”), penso che noi siamo scusati; anzi, abbiamo già colto l’essenziale mentre tutti continuavano a parlare di Obama continuatore di Bush. Il sottoscritto scrisse due, forse quasi tre anni, fa che già gli ultimi due anni della presidenza Bush avevano visto un iniziale mutamento di politica; appunto, con il cambio tra Rumsfeld e Gates, non a caso riconfermato dalla nuova presidenza. E tutti rimasero sorpresi, pensando alla “sotterranea” continuità tra Obama e Bush; perché non capiscono nulla e credono, e fanno credere al “poppolo” gonzo, che ciò che conta è il Presidente eletto. In realtà, era accaduto il contrario di quanto pensato e propagandato: Obama è stato eletto per consolidare il cambio di politica dei centri strategici americani (quelli che al momento hanno prevalso), di cui era stato segno la nomina di Gates. E oggi Rumsfeld, con il suo recente articolo sul Washington Post, parte al contrattacco, cercando svalutare la nuova strategia e di rivalutare quella di Bush, cioè sua, cioè dei centri strategici che lo avevano posto al Segretariato di Stato.

Adesso, quell’asse internazionale, molto embrionale e informe, è dissolto e non potrà più riprendere sulle basi di partenza (ne riparleremo, lo ripeto). Berlusconi è alla fine del suo periodo, ma per il semplice fatto che è finito anche quello della “sinistra” che abbiamo conosciuto dal 1991 ad oggi. Le ultime scaramucce, tipo le elezioni amministrative, sono pur sempre accese, perché la maschera non può cadere così d’emblée, occorre un finale di recita adeguato alla lunghezza di quella svolta per quasi vent’anni. Credo che Berlusconi abbia assicurata una via d’uscita, ma non può esserne certo al 100%; nessuno può garantire simili “uscite” senza alcun rischio che qualcosa sfugga di mano, dati gli odi che si sono creati e che risentono quindi di livori puramente personali, privi di razionalità “calcolante”. Quindi, da parte sua, non va del tutto abbandonata la battaglia. E con grande probabilità, già il calcolo sulla tattica usata e il risultato conseguito a Milano non facevano parte delle previsioni messe in conto.

Comunque Berlusconi è vicino all’uscita di campo; ma deve predisporsi una ritirata accettabile, non ancora sicura, lo ripeto. Non verrà però avanti la “sinistra”. Adesso, vedrete che la trasversalità sarà pian piano più manifestamente dichiarata e accettata. Posso sbagliare nomi, ma li faccio solo per indicare una tendenza. Quella che denomino con il “Malefico Trio”: Napolitano-Tremonti-Draghi. In ogni caso, si faranno avanti i più subdoli rappresentanti della nostra politica. E non si metteranno sul proscenio come singoli individui “alla Berlusconi”. Certo, non si farà politica se non in base a discussioni sul carattere di questa o quella persona; ormai la degenerazione politica ha compiuto i suoi irreparabili guasti. Ma si discetterà su “alcuni individui”, non su “uno”. Questa l’ipotesi più probabile, ma non certo l’unica. Nemmeno si può escludere, pur se mi sembra poco praticabile, che si scelga la via del traghettamento verso i “nuovi lidi”, adeguati alla nuova politica americana, con ancora una funzione da lasciar svolgere a Berlusconi; magari per compiere la “traversata” in modo del tutto indolore. In ogni caso, il “quasi ventennio” è finito. Non si è mai passati, e per i motivi già considerati, ad alcuna “seconda Repubblica”. E tuttavia, è come se questa fase venisse saltata – similmente a certe mosse sulla scacchiera nel sogno di “Alice dietro lo specchio” – per passare alla “Terza”; in realtà, alla riduzione dell’Italia – lo dico per paradosso, ma significativo di qualcosa di reale – a stelletta della bandiera a stelle e strisce.

Comunque, in questo passaggio, in cui le forze in campo non abbandoneranno l’abitudine all’indecorosa recita di ormai vent’anni, si vedrà tornare utile la commedia dei “comunisti”. Magari, non proprio in modo drastico, semplicemente agitando il pericolo che, essendo in difficoltà le forze principali (Pdl e Pd), potrebbero farsi avanti frange consistenti di “radicali”, tendenzialmente violenti o presunti tali. Per cui si farà appello ai “partiti responsabili” – secondo quanto predica l’agente in questo momento principale della politica americana in Italia – affinché moderino lo scontro “suicida” per tutti, abbiano a cuore le sorti del paese e si vada a Governi di responsabilità nazionale. Secondo me, si tratterà solo del primo passo di un vero rimescolamento di carte, in cui pezzi di quella che oggi si dice “destra”, altri pezzi di quella denominata “sinistra”, con frattaglie varie che si fingono di “centro”, si metteranno insieme in una coalizione “moderata”. Da non confondere comunque, come taluni cominciano a fare, con una nuova Dc; sarà proprio tutt’altra cosa e segnerà una nostra dimensione non più nazionale, di subordinazione avvilente ad una potenza straniera, come non era accaduto nemmeno nel mondo bipolare.

Questo apre comunque nuove prospettive, nuovi orizzonti, pur al momento assai oscuri. Ne riparleremo, perché occorre capire meglio il quadro internazionale.

Fonte :  http://conflittiestrategie.splinder.com/post/24581762/declino-con-incognite-di-giellegi-18-maggio-11

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